Lo storico britannico di orientamento marxista (non ortodosso) più citato per quanto riguarda la visuale comparativa fascismo- nazismo, è Tim Mason. Lo è soprattutto con il suo articolo Whatever happened to „Fascism“? (in: Radical History Review 49/1991, pag.89-98). Da notare che Mason, che ha vissuto gli ultimi anni della sua breve vita in Italia, ha pubblicato libri ed saggi ancor più in tedesco che in inglese. Il più comparativo è Massenwiderstand ohne Organisation, Streiks im faschistischen Italien und NS-Deutschland, in: Gewerkschaftliche Monatshefte Band 32, 1984);ed ha scritto pure in italiano, per esempio Il nazismo come professione (in: Rinascita vol. 18, 18.5.1985, pag.18-19).
L’articolo in inglese menzionato per primo è un appello appassionato e provocatorio, a resuscitare l’interesse, comparativo e vigile, per la storia e la fenomenologia fascista in generale, invece di focalizzare tutta l’attenzione sulle efferatezze naziste, razziste e genocidali. Traduciamo da quel testo dal titolo ad effetto, „Ma dov’è finito il „Fascismo?“ Termine quasi sparito dalla ricerca storica negli anni Ottanta, „dominata“ dal nazismo, si rammarica Mason)
The most extreme pecularities of German Nazism have thus slowly and silently come to dominate our moral, political and professional concerns. When referred to at all, (…) ‚Fascism‘ seemed to have become old hat.
Considerando „fuori moda“ parlare di fascismo in generale, concentrandosi solamente sull’assoluta „straordiarietà“ dell’efferatezza nazista razzista genocidale, secondo Tim Mason comporta il rischio di chiamarsi fuori dalle più fondamentali questioni morali e politiche che quel dato periodo storico solleva. „Sbattuto il mostro in prima pagina“, si dimentica il dovere dello storico, come lo interpreta Mason: quello di trarre delle conclusioni più profonde, meglio se utili ad affrontare anche il presente ed il futuro; e questo riesce solamente considerando un dato periodo storico per intero, in tutto il suo contesto, e non nel suo evento più eclatante.
Non si tratta di fare del nominalismo, continua lo storico anglo-marxista, possiamo anche rinunciare a molto di quello che intendevamo per „fascismo“, ma non possiamo rinunciare alla prospettiva comparativa, ai paragoni. „Storicizzare“ tutto può condurre al provincialismo, sostiene Mason, può diventare una ricetta „da provinciali“, anche quando a prescriverla è un maestro „impeccabile“ come Habermas:
If we can now do without much of the original contents of the concept of ‚Fascism‘, we cannot do without comparison. ‚Historicization‘ may easily become a recipe for provincialism. And the moral absolutes of Habermas, however politically and didactically impeccable, also carry a shadow of provincialism, as long as they fail to recognize that fascism was a continental pheonomenon, and that Nazism was a peculiar part of something much larger. Pol Pot, the rat torture, and the fate of the Armenians are all extraneous to any serious discussion of Nazism; Mussolini’s Italy is not.“
L’Italia Mussoliniana non si può chiamare fuori da un discorso serio sul nazismo. Timothy Mason scrisse questo poco prima della sua morte (avvenuta per suicidio, a Roma, all’età di 50 anni). Ma i suoi suggerimenti furono presto raccolti, per esempio in un convegno su Fascism in Comparative Perspective al St.Peter, il College di Oxford dove per tanti anni aveva insegnato storia tedesca ed europea, (documentato sotto lo stesso titolo da Eve Rosenhaft in German History, vol 12, no.2/1994, pp.197-202).
Nel 1996 uscì, a cura di Richard Bessel della Open University, unvolume dal titolo dichiaratamente comparatista ma anche „contrastivo“: Fascist Italy and Nazi Germany, Comparisons and Contrasts. Sempre in memoria di Tim Mason, ispirato dal suo aver spezzato una lancia a favore dei paragoni fascismo-nazismo, qui si mettono in risalto sia le notevoli affinità sia le differenze tra i due „movimenti parenti“ (anche oltre quella maggiore sul razzismo genocidale). Per esempio, il ruolo degli operai, delle donne, e del modernismo è tematizzato in ben sei dei dieci saggi che formano questo libro edito dalla Cambridge University Press.
L’introduzione di Richard Bessel, da un lato sostiene che il concetto di fascismo, che storicamente per lui ha significato guerra in tutte le salse, è da rivalutare, ridefinire, ri-generalizzare in un’ottica alquanto diversa da quella che si aveva all’epoca della guerra fredda. D’altro canto, pur senza paragoni pregiudiziali, ci ricorda che „sin dall’inizio c’erano buone ragioni perchè questi due fenomeni meritassero di essere raffrontati„:
After all, scrive:
both were radical ideological and political negations of the Enlightenment;
both came to power in countries deeply shaken by economic, political and osychological crises in the wake of the First World War;
both were militantly opposed to parliamentary democracy;
both aggressively assaulted the Left;
both glorified the role of violence in politics and war;
and both led their respective countries to ruin.